Circolo Culturale "Mario Luzi" di Boccheggiano (GR)

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RODOLAO - Latte di Mandorla (5) SCRITTORI AMICI - Volume di Poesie di Santoro)

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"Il romanzo si snoda in un triangolo geografico ben definito:

(… Neppure un refolo di vento faceva ondeggiare i ciuffi delle canne ormai essiccate: il silenzio avvolgeva ogni cosa come un manto invisibile. In una calma inverosimile la vita seguiva il suo corso lento, lungo gli argini del Centa, anche quel giorno. Un aereo partì dal vicino aeroporto di Villanova, spezzò per un attimo col rombo dei motori quel silenzio quasi mistico e sparì oltre l’isola, lasciandosi dietro un nastro bianco come i pensieri di un bambino. I colori sfumati dell’autunno nella macchia mediterranea sulle colline circostanti, rendevano il paesaggio simile ad un quadro onirico dipinto da un artista malinconico. Ad est, il profilo del monte Piccaro si stagliava nitido nella stanchezza della luce e, lontana, la costa, sembrava ricoperta da una trina dorata estesa dal mare alle alture…)

che partendo da Albenga, passerà per la Torino degli anni 60, per approdare infine, alla sorgente primigenia di Rocco Cetrara, il protagonista, nato a Scilla nello Stretto e ” Figlio del Mare”, come lui sente di essere.

 

LATTE DI MANDORLE

 CAPITOLO 1°


             

 Il sole già incominciava a discendere a ponente, verso Imperia e, l’isola Gallinara in lontananza, appariva una specie di lumaca galleggiante sul mare, riverberato di riflessi sanguigni. Uno stormo di gabbiani sorvolava il greto del fiume; i cefali lottavano freneticamente per procurarsi molliche di pane lanciate da un bimbo nell’acqua trasparente. Germani reali, cigni e folaghe litigavano a loro volta scambiandosi vigorose beccate, nel tentativo di sottrarre alla voracità dei cefali qualche boccone. Baruffa tra volatili nel tentativo di procurarsi il cibo, non di certo insolita in quello specchio d’acqua pacifica e cristallina.

     Neppure un refolo di vento faceva ondeggiare i ciuffi delle canne ormai essiccate: il silenzio avvolgeva ogni cosa come un manto invisibile. In una calma inverosimile la vita seguiva il suo corso lento, lungo gli argini del Centa, anche quel giorno.

      Un aereo partì dal vicino aeroporto di Villanova, spezzò per un attimo col rombo dei motori quel silenzio quasi mistico e sparì oltre l’isola, lasciandosi dietro un nastro bianco come i pensieri di un bambino. I colori sfumati dell’autunno nella macchia mediterranea sulle colline circostanti, rendevano il paesaggio simile ad un quadro onirico dipinto da un artista malinconico.

        Ad est, il profilo a picco sul mare del monte Piccaro si stagliava nitido nella stanchezza della luce e, lontana, la costa, sembrava ricoperta da una trina dorata estesa dal mare alle alture. 

   Non lontano dalla riva alcuni pescatori gettarono in acqua i palamiti con relative bandierine di segnalazione, altri sulla riva preparavano esche col lardo bianco per la pesca notturna dei totani. Una frotta di gabbiani famelici inseguiva un peschereccio che tagliava il mare con le eliche, lasciandosi dietro un solco di spume, sembrava un contadino in un orto fatto d'acqua.

     Scenario di un tramonto seducente che si accodava agli orli di una giornata luminosa di novembre, nell’estate di San Martino, abbellita da un cielo turchese senza nuvole.

Uno di quei giorni in cui Rocco amava camminare lentamente lungo la striscia di costa tra Alassio e Albenga, ripensando a un altro mare e un’altra terra: il suo mare e la sua terra di Calabria.

  Là i tramonti erano ancora più accesi, tutto rifulgeva come oro: le onde, gli scogli, i fichi d’india, i balconcini, rallegrati dal rosso delle dalie e dal profumo delle malvarose.

      Negli orti i limoni e le arance sembravano piccole lune accese e minuscoli soli tramontati, appesi all’albero del tempo.

   L’incanto gli rubava gli occhi, i ricordi affioravano dalla sua mente come bollicine dal fondo di una bottiglia; lo riportavano all’altra terra lontana: sentiva chiaramente il suo richiamo.

    Era passata quasi una vita da quando lasciò l’altro mare, materia liquida che gli scorreva nelle vene insieme al sangue.

       Aveva svolto un'attività logorante per quasi quarant’anni; nella città del Po, lontano dal mare; facendo un lavoro differente da quello che sognava di fare fin da bambino, quando pensava di diventare un pescatore, costruendosi la barca con le sue mani.

   Aveva fatto il conducente di autobus a Torino: tutti i giorni del mese, tutti i mesi dell’anno, tutti gli anni della sua vita lavorativa.

     Il mare era soltanto una parentesi estiva che lasciava nel suo cuore il rimpianto. Il resto dell’anno usciva da casa alle sette del mattino dirigendosi verso il capolinea; saliva sul suo mezzo e trasportava da una parte all’altra della città centinaia di persone, ogni giorno, col sole, la nebbia, la pioggia o la neve.

     Una marea di uomini e donne sconosciute che non lasciavano spazio ad un rapporto che non fosse quello dell’autista, destinato ad aprire e chiudere le porte e del passeggero frettoloso che saliva o scendeva. Tutta una vita ad aprire e chiudere portiere a comando, si chiedeva, ora, come aveva fatto a non rincretinirsi, a non soccombere!

    Quella quotidianità snervante riusciva a spezzarla quando arrivava il mese d'agosto, con i giorni dedicati alle ferie e partiva, armato di canne da pesca, verso la riviera ligure di Ponente.

     Aveva scelto di passare le vacanze ad Albenga, in un campeggio in riva al mare, proprio di fronte all’isola Gallinara. Passava le giornate andando a pescare sul gozzo che era riuscito a comprarsi dopo anni di risparmi; il suo gozzo in legno di mogano col nome Scilla scritto con la vernice bianca sulla fiancata di prua, e non era il nome di una donna, come tutti pensavano.

     Il mese di agosto lo dedicava al riposo, staccando il filo delle abitudini, lasciandosi avvincere da una sorta di svogliatezza buona; passando le ore sulla barca a guardare il cielo, seguendo i caroselli dei gabbiani intorno all’isola e godendo da lontano della vista della città oltre gli orli del mare, con le sue torri medievali ancora intatte stagliate sopra le porte e le mura, nel cuore del borgo vecchio.

   Fu grazie al suo amico Roberto Cacioli, l’ingegnere, che scoprì quella località di cui si era subito innamorato, scegliendola come città del cuore.

     La prima volta giunsero in Riviera con la Lambretta di Roberto, lui già conosceva la zona, e dopo quella prima esperienza, presero l’abitudine di tornarci insieme, tutte le volte che riuscivano a tenere a bada gli impegni di lavoro.

Rocco, aveva percepito il mare non appena iniziato il percorso discendente del San Bernardino: lo aveva captato nell’aria da molto lontano, ancora prima di riuscire a scorgerlo!

      Non ci sono parole per descrivere il suo incontro col mare! Pregò Roberto di lasciarlo solo qualche minuto; aveva bisogno di ritrovare il sapore del salso sulle labbra, di respirare a pieni polmoni la brezza, d’immergersi nelle onde e ritrovare l’intimità perduta.

    Lo scenario era diverso, non era il suo mare, il mare magato dello Stretto, comunque era il mare: l’amore perduto della sua infanzia. Incominciò a correre come un bambino sulla sabbia bagnata, con le braccia spalancate che sembravano ali e continuò a correre, finché senza fiato e forze cadde con la faccia all'ingiù; la bocca aperta nelle spume.

     Di sera trovava piacevole passeggiare nei vicoli deserti del centro storico, col rumore ritmato delle sue scarpe sul selciato, o sedersi sulle panchine in piazza del municipio vicino alla Cattedrale gotica di San Michele. Gli sembrava di tornare indietro nel tempo e rivivere atmosfere provenienti dal passato.

    I giorni ad Albenga erano dedicati al relax con Roberto, e quando non potevano uscire a pescare perché il vento gonfiava le onde ricamando l’arenile di schiume, passavano il tempo a scoprire angoli di paradiso nei dintorni.

       Andavano in bicicletta per l'Aurelia fino alla punta di Capo Mele, prendevano fiato qualche minuto vicino al faro, godendo della stupenda veduta che regalava agli occhi l’incanto della Baia del Sole con al centro l’isola deserta; da quel punto di osservazione sembrava una tartaruga galleggiante sull’azzurro.

     Poi riprendevano a scendere fino ad Andora, salendo per via delle Patelle fino ai campi da tennis; tra il profumo dei fiori che arrivava dai giardini delle villette residenziali e curvavano decisi verso la valle di Stellalello. Arrivati in paese riprendevano la via del ritorno salendo fino a San Damiano per ridiscendere in mezzo ad arbusti di mirti e corbezzoli da Colla Micheri fino a Laigueglia, riportandosi sulla via Aurelia.

  Percorrevano la costa ombreggiata dai pini marittimi, assordati dal frinire convulso delle cicale e, a volte, s’inerpicavano fino al Santuario Madonna della Guardia. Altre volte uscivano il mattino presto e puntavano alle grotte di Toirano, altre azzardavano, fino alla piccola repubblica marinara di Noli, serbata con cura dalle sue mura massicce.

      Li estasiava pedalare nelle prime ore del mattino nell’entroterra, ricoperto dall'argento degli ulivi e dal giallo delle ginestre, andando allegramente oltre la Piana, tra estensioni di macchia mediterranea. A Pieve di Teco riposavano sotto la frescura dei portici, rifornivano le borracce d’acqua fresca alla fontana e riprendevano a risalire fino al Colle di Nava, poi andavano a mangiare le trofie al pesto e la cima di vitello ripiena, in una trattoria ai margini del bosco.

   Rientravano a sera sfiniti dalla fatica, però soddisfatti, pronti a rifarlo, ricompensati dalle bellezze policrome di una terra meravigliosa che rievocava in loro l’incanto della terra che avevano lasciato da bambini e non avevano scordato, nessuno dei due.

     Per anni avevano passato in questo modo il tempo libero, poi Roberto andò a nozze con Eleonora, e diventò padre. Nei tre anni successivi nacquero due figli e naturalmente le cose cambiarono; raramente trovavano occasioni per incontrarsi.

     Si sentivano telefonicamente, però riuscire a organizzare qualche fine settimana da trascorrere a pesca o pedalando come un tempo era un evento, per Roberto, sempre impegnato tra ufficio e famiglia, anche con la sincera volontà di non voler trascurare niente e nessuno.

Rocco continuò a praticare il campeggio in riva al mare e un’estate, inaspettatamente, incontrò l’amore, anche lui.

   Sofia… bella, semplicemente!

Sofia…unica… soltanto unica, per Rocco.

Un evento travolgente, il primo della sua vita.

  Amore, finalmente?

   Aveva superato i trenta e il pensiero di una famiglia tutta sua, per la prima volta, non fece scattare la voglia di scappare, mettendo distanze e silenzi tra lui e la donna che aveva aperto la serratura del suo cuore.

Il matrimonio di Roberto con Eleonora, la felicità di essere genitori che traspariva dai loro occhi, aveva risvegliato in lui il desiderio di smetterla con storie facili, senza prospettive di futuro.

   Sofia faceva l’infermiera, abitava ad Angera, piccolo paese sulla sponda lombarda del lago Maggiore. Era in vacanza e la sua grande spensieratezza coinvolse Rocco in maniera forte. Cominciarono a frequentarsi e a passare il giorno insieme; andando a pescare con la barca intorno all’isola o girovagando nei dintorni in cerca di cose nuove. Sofia era molto affettuosa e disponibile al corteggiamento di Rocco e non tardarono a passare dall’amicizia ad un sentimento più importante.

   Passato il periodo delle ferie in campeggio, dove avevano cercato entrambi di non perdersi neanche una sfumatura di quella parentesi imprevista, tornarono ognuno alla propria vita, promettendosi di risentirsi presto e decidere come portare avanti il rapporto che li univa.

In verità non desiderava altro che rivederla e chiederle di diventare sua moglie il prima possibile.

     Si telefonarono non appena arrivati a casa. Sofia gli confidò che anche per lei, senza di lui, la vita non sarebbe stata degna di essere vissuta. Sembrava sincera, innamorata... la più innocente tra le donne che aveva conosciuto in passato. Sofia amava le rose blu, e Rocco nel periodo del loro amore fece imprudenze di natura economica per fargliele avere di continuo.

Sofia…l’amore… finalmente.

   Appena libera dagli impegni di lavoro, Sofia andava a Torino per passare con lui qualche giorno, ed era un tempo che volava, fatto di gioia e passione, per entrambi. Rocco, per evitarle la stanchezza del viaggio, proponeva d'essere lui ad andare sul lago; e non riusciva a capire perché Sofia dicesse sempre di no, nella maniera più assoluta. Non voleva sentire ragioni, veniva lei a Torino. Punto e basta: inutile discutere!

Poi, la verità scoperta, non fu facile da accettare. 

      La storia che sembrava non dovesse mai finire, durò solo qualche mese. Sofia, messa alle strette da Rocco che voleva andare ad Angera per conoscere la sua famiglia, confessò di essere già sposata, con un uomo che non amava.

Ad ogni modo non intendeva cambiare nulla del suo matrimonio.    

Tra loro vigeva un tacito accordo: ognuno poteva fare i fatti suoi, senza però creare scocciature all’altro. Sofia non avvertiva sensi di colpa di nessun tipo: che male c’era nel concedersi ogni tanto qualche occasione? Faceva male a qualcuno? A chi?

No. Era convinta di non fare male a nessuno. Anzi… faceva solo del bene a se stessa!

Supporre, anche lontanamente che stava facendo del male a lui, per il suo esacerbato egoismo forse era eccessivo.

__   Mio marito non è il massimo che una moglie possa desiderare, però mi vuole bene e mi rispetta; non si può avere tutto…

Amore? Alla nostra età?

Rise. L’amore è una debolezza che rende schiavi. Desiderava essere più libera del vento: era stata una splendida parentesi, nulla di più.

__Fine…per favore non fare drammi da persona incivile!

     Rocco evitò di fare drammi, non certo perché riteneva di essere civile e, tanto meno, per paura di apparire incivile agli occhi di Sofia.

 Non drammatizzò semplicemente perché quella verità aprì le tendine sull’ideale che di lei si era costruito e la vide così com’era: una donna lontana dal suo sentire come un satellite dalla torre di lancio. Da quel momento li divise una distanza siderale.

Non merita niente - disse a se stesso - cercando di farsene una ragione nei limiti che il forte sentimento per lei gli consentiva.

      Per molto tempo, sentì sul cuore il bruciore di quella cocente delusione. Tornava da solo in quella fascia di costa tra Alassio e Albenga; nello stesso luogo dove le parole colorate di Sofia rotolavano allegre sulla battigia e lui le raccoglieva, quasi fossero preghiere. Aveva l’urgente necessità di trovare una conferma; una traccia qualunque di quei meriggi trascorsi con lei come in sogno, indifferenti del mondo circostante. Liberi, come il vento che sempre spirava in quel punto: consumandosi di baci e di carezze in riva al mare.

Sofia…Sofia… Sofia…

Le onde che si srotolavano sulla rena sembravano ripetere nel silenzio il suo nome all’infinito.

     L’isola era sempre lì, ad un tiro di sasso dal suo sguardo; i gabbiani rincorrevano pescherecci azzuffandosi per scarti di pesce e gli aerei lasciavano rotte di fumo bianco a solcare il cielo: niente sembrava cambiare col passare dei mesi, tranne loro due.

Sofia. Sofia. Sofia… Il mare orchestrava sempre la stessa composizione musicale.

Poi, lentamente, il tempo sbiadì la memoria di quell’estate lontana, ricoprendola di polvere grigia. Era un flashback scolorito che non faceva più male, anzi…era quasi dolce pensare a Sofia. Forse perché il suo ricordo si legava come un palloncino agli anni della prima maturità; quando ancora sentiva nelle vene il pulsare del sangue con la primavera della vita, ed era tutto relativo alla prospettiva del futuro.

Quella sera ad Albenga, mentre lo scialle vermiglio del tramonto univa terra e mare, e il giorno moriva tra sospiri di luce, camminando sui ciottoli bagnati, sorrise al pensiero di Sofia; senza rimpiangerla.

Le nostalgie di Rocco, erano di tutt’altra natura…Rocco Cetrara era nato a Scilla in Calabria...