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POESIA DEL NOVECENTO ITALIANO - Moretti - "Le prime tristezze" - Come l'avrei scritta io

COME L'AVREI SCRITTA IO

(A cura di Salvatore Armando Santoro)

 

LE PRIME TRISTEZZE

di Marino Moretti

 

Ero un fanciullo, andavo a scuola, e un giorno

dissi a me stesso: “Non ci voglio andare”

e non andai. Mi misi a passeggiare

solo soletto fino a mezzogiorno.

 

E così spesso. A scuola non andai

che qualche volta da quel triste giorno.

Io passeggiavo fino a mezzogiorno

e l’ore… l’ore non passavan mai.

 

Però il rimorso m'opprimeva il cuore

in quella triste libertà perduto,

e qual ansia, mio Dio, d’esser veduto

dal signor Monti, dal signor dottore!

 

Pensavo alla mia classe, al posto vuoto,

al registro, all’appello (oh il nome, il nome

mio nel silenzio) e mi sentivo come

proteso su l’abisso dell’ignoto.

 

E mi spingevo fin verso i giardini

od ai vïali fuori di città;

e mi chiedevo: “Adesso, chi sarà

interrogato, Poggi o Poggiolini?”.

 

O fra me ripetevo qualche brano

di storia (Berengario, Carlo Magno,

Rosmunda) ed era la mia voce un lagno

ritmico, un suono quasi non umano.

 

E quante volte domandai

l’ora a un passante frettoloso ed era

nella richiesta mia tanta preghiera!

Ma l’ore… l’ore non passavan mai.

 

Chi mi darà, chi mi darà quell’ore

così perdute dell’infanzia mia?

Non tu, non tu che tanta nostalgia

e tanto affanno mi ridesti in cuore,

 

non tu, non tu che la tua fronte chini

per tacermi una lacrima o il pensiero

ch’è su la soglia del tuo ciglio nero

e nemmen Poggi e nemmen Poggiolini.

 

 

TESTO ORIGINALE

 

 

LE PRIME TRISTEZZE

di Marino Moretti

 

Ero un fanciullo, andavo a scuola, e un giorno

dico a me stesso: “Non ci voglio andare”

e non andai. Mi misi a passeggiare

solo soletto fino a mezzogiorno.

 

E così spesso. A scuola non andai

che qualche volta da quel triste giorno.

Io passeggiavo fino a mezzogiorno

e l’ore… l’ore non passavan mai.

 

Così il rimorso teneva il mio cuore

in quella triste libertà perduto,

e qual ansia, mio Dio, d’esser veduto

dal signor Monti, dal signor dottore!

 

Pensavo alla mia classe, al posto vuoto,

al registro, all’appello (oh il nome, il nome

mio nel silenzio) e mi sentivo come

proteso su l’abisso dell’ignoto.

 

E mi spingevo fin verso i giardini

od ai vïali fuori di città;

e mi chiedevo: “Adesso, chi sarà

interrogato, Poggi o Poggiolini?”.

 

O fra me ripetevo qualche brano

di storia (Berengario, Carlo Magno,

Rosmunda) ed era la mia voce un lagno

ritmico, un suono quasi non umano.

 

E quante volte domandai

l’ora a un passante frettoloso ed era

nella richiesta mia tanta preghiera!

Ma l’ore… l’ore non passavan mai.

 

Chi mi darà, chi mi darà quell’ore

così perdute dell’infanzia mia?

Non tu, non tu che tanta nostalgia

e tanto affanno mi ridesti in cuore,

 

non tu, non tu che la tua fronte chini

per tacermi una lacrima o il pensiero

ch’è su la soglia del tuo ciglio nero

e nemmen Poggi e nemmen Poggiolini.

 


Data di creazione: 01/11/2012 @ 14:45
Ultima modifica: 01/11/2012 @ 15:01
Categoria: POESIA DEL NOVECENTO ITALIANO


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