Caterina Trombetti, Fiori sulla muraglia, Florence Art Edizioni, Firenze 2012 (Recensione di Gemma Menigatti)
Questa silloge, comparsa nella prima edizione nel 2002 per le Edizioni Passigli, compare oggi con la traduzione in spagnolo a fronte di Coral Garcìa. Si fregia della prefazione di Mario Luzi e della postfazione di Martha Canfield; la copertina di Fuad Aziz, mostra due volti che si compenetrano l’un l’altro, come il mutuo contributo alla conoscenza della componente maschile e femminile.
La silloge tocca molti temi esistenziali, quali la lotta per la vita, il dolore, il timore della morte e la poetessa lo fa con tocco leggero e con animo disincantato, sapendo che niente è durevole, né il piacere, né il dolore e che ci si può rialzare dalle cadute e dai “ruzzoloni” cercando lo spazio di vita / aldilà delle stelle. Con questi versi la poetessa dichiara la sua concezione della vita di chiara ispirazione platonico-cristiana, che relega nell’aldilà il compimento del destino umano.
Il titolo dell’opera, Fiori sulla muraglia, stimola molteplici riflessioni sulle metafore che la muraglia può rappresentare: protezione, separazione, o ostacolo da superare; il significato che comunemente le si attribuisce è quello della incomunicabilità che affligge i rapporti umani e impedisce loro di espandersi e arricchirsi. Le sue pietre ne evocano la persistenza nel tempo, in contrapposizione alla presenza dei fiori, i quali richiamano invece la caducità, mentre la loro bellezza ne attenua la fredda nudità.
La prefazione di Mario Luzi inneggia alla semplicità e alla chiarezza lessicale della poetessa, invitandola a continuare su quella strada. Infatti la lettura è facile e scorrevole, tuttavia al primo approccio le poesie si sono rivelate subito dense di simboli e di vaghe allusioni; perciò si potrebbe parlare di poesia ermetica, non tanto per il lessico che qui è semplice e piano, ma per il significato che spesso non si lascia afferrare. Il motivo è che essendo ogni lirica costituita da diverse strofette, difetta un vero collegamento dell’una con l’altra. Sembra che l’autrice voglia tenere celata la fonte delle sue emozioni, e con ciò credo che voglia mostrare ai lettori l'indecifrabilità del reale e delle proprie stesse percezioni.
Un’altra peculiarità delle composizioni riguarda la presenza di un interlocutore misterioso, ora in veste di amico, ora di amante, ora di guida spirituale, che accoglie le sue riflessioni. La rosa, titolo della prima poesia, è il fiore che più d’ogni altro si ammanta di una pluralità di simboli, filosofici, religiosi ed erotici, cantato dai poeti fin dall’antichità, e qui la poetessa allude al dono ricevuto dal misterioso interlocutore di un tenero boccio che riesce ad afferrare il suo cuore. Il dono di un bocciolo di rosa potrebbe alludere ad una “iniziazione”, preludio di espansione e di crescita spirituale, di cui ella è stata beneficiaria e che ha dato i suoi frutti, visto che ella conclude: Ma si è accesa la rosa,/ ritrovato il suo posto/ ora si espande e riempie /del suo fuoco ogni età. Anche la poesia successiva rivolge la propria gratitudine ad un interlocutore sconosciuto dal quale la poetessa ha ricevuto una “sacra eredità”: Da geni ancestrali / generata / ma sgorgato da voi / il senso ed il pensiero, / si è espresso/ il vostro seme / nutrito d’amore. Tale preziosa eredità rappresenta anche un impegno per lei in quanto, acquisendo la consapevolezza del valore di essa, essa sente il dovere di corrispondere alla fiducia accordatale: cammino /e dentro di me vi porto / mentre cresce sempre più / l’intendimento/ della sacra vostra eredità. Nella lirica In cammino la poetessa rimprovera un amante per compiacere il quale ha dovuto rinunciare alla poesia: Mi sono strappata le ali / per il tuo amore / che solo terrena mi voleva per sé; ma la risposta al potente richiamo della poesia la salva, facendola uscire dalle tenebre: E piano così: a tentoni /inciampando, cadendo / e poi ruzzolando / e sempre più testardamente / cercando lo spazio di vita / al di là delle stelle. / Che sia, alla fine, sapienza / e conduca alla gioia / dell’universale sorriso! L’Autrice con ciò dichiara anche la sua evoluzione poetica e umana: in Un canto perenne, ella ritiene di aver trovato finalmente il suo stile personale e inconfondibile, lontano dai comuni artifici, tanto da temere che risuoni straniero ai lettori; il suo lavoro di scavo come su pietra ha fatto finalmente zampillare una poesia come vena d’acqua sorgiva, / la fatica compressa nel segno di sempre. Un tempo nascosta / da impenetrabile roccia / ora chiara gorgoglia / in un canto perenne.
Il gufo, a cui è avvicinata la donna nella poesia La donna gufo, simboleggia tutto ciò che è oscuro e affine alla morte. Per la donna-gufo si tratta di una morte temporanea, il sonno, necessario per recuperare le forze e continuare la lotta per la vita, che ogni giorno inizia con un pesante risveglio. Lei lo vorrebbe rinviare volentieri per rimanere ancora nel buio / che forse protegge e assicura. Tuttavia, conscia delle sue responsabilità, risponde al richiamo della vita e si tuffa nell’onda, / arma forte il suo cuore / lo incendia, allontana le tenebre protettive, si getta nella mischia e riconquista la luce. Richiamando la luce, simbolo della ragione, la poetessa allude alla contrapposizione tra la notte, regno del sogno e della quiete, e il giorno, campo di battaglia, seppur metaforica, per la sopravvivenza.
Dunque è la vista della muraglia secolare, appena illuminata dal gelido pallore della notte, che sollecita nella poetessa suggestioni che fanno dire: ombre gelose dei loro segreti / … / sollevano memorie dal passato. / E’ l’uomo che ricorda o son le cose? Forse sono le pietre stesse a custodire la memoria dell’uomo in quanto testimoni, seppure mute, delle sue vicende. Le crepe incise sulle pietre dallo scorrere del tempo sono come quelle che segnano il cuore della poetessa mentre attende il conforto della luce, fino quasi a identificarsi con esse, perché ella dice: Persona e oggetto sono cosa sola / in circolare lotta e armonia.
La silloge si chiude con un omaggio a Mario Luzi, amico, maestro e guida della poetessa che dalla sua casa di Bellariva in Firenze, leva alto il pensiero / è direzione ed oriente per molti.
Gemma Menigatti