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	Cristo si è fermato a Eboli
	di Carlo Levi
	Newton Compton Editori
	www.newtoncompton.com
	Narrativa romanzo
	Collana Grandi tascabili economici
	Pagg. 236
	ISBN 9788854120129
	Prezzo € 10,50
	 
	 
	 
	 
	Lo Stato è lontano
	 
	 
	 
	 
	 
	 
	 
	Nel corso della lettura delle prime pagine viene istintivo un accostamento a Fontamara,  il bellissimo romanzo di Ignazio Silone. Stessa è la miserabile  condizione di indigenza trattata, anche se i luoghi sono diversi (là la  Marsica, qua la Lucania), identica è l’attività di sostentamento dei  protagonisti (là contadini, come qua), uguale è il profondo senso di  scoramento, quel sentirsi lontani dallo Stato visto come un’entità  oscura e quasi sempre vessatoria. Eppue le differenze ci sono e appaiono  notevoli, a iniziare dalla narrazione, poiché se Fontamara è un romanzo con una trama simbolica, Cristo si è fermato a Eboli  è un’autobiografia, limitata a un determinato periodo, tale da essere  considerato dall’autore un’autentica rivelazione.  E poi non occorre  dimenticare la diversa estrazione sociale degli scrittori, con Ignazio  Silone (all’anagrafe Secondino Tranquilli) rimasto quasi senza famiglia a  seguito del terremoto che colpì Avezzano nel 1915, quindi parte della  stessa gente che così mirabilmente descrive nel suo romanzo, un grido di  dolore di un oppresso fra gli oppressi.
	Carlo  Levi, invece, borghese torinese, costretto a dimorare nel luogo della  sua opera come confinato dal regime fascista, coglie lo stupore che gli  ingenera lo scoprire una situazione di arretratezza economica e di  emarginazione sociale che gli erano sconosciute, e lo fa dapprima quasi  con riluttanza, poi con sempre più viva partecipazione al punto di  riconoscere in quei reietti dei sentimenti di umanità, delle capacità di  accoglienza, nonostante vi imperi l’ignoranza e la superstizione.
	In entrambi i casi Ignazio Silone e Carlo Levi portano alla luce, nella  sua drammaticità, la questione meridionale, una vasta parte dell’Italia  così dissimile dall’altra, così abbandonata da apparire staccata, una  propaggine importante, ma lasciata allo sbando, arretrata economicamente  e socialmente, un luogo sulla carta geografica e nulla più.
	Il contrasto fra il settentrionale, agiato, medico torinese e una  realtà del tutto imprevedibile palpita nelle pagine, dotate di una  dinamicità in contrasto con la staticità di quel mondo, abbandonato da  tutti e perfino da Cristo, che oltre Eboli non è andato.
	La fatica del vivere quotidiano, la tediosità di una situazione senza  speranza, l’ignoranza sempre presente, unita alle superstizioni che  accomuna quei diseredati alle pochè autorità (podestà, medici,  farmacisti), ma soprattutto quel sentirsi lontani anni luce dallo stato,  da questa istituzione sconosciuta e anzi vista con timore, come un  Moloch che pretende sempre di più senza dare, sono descritte in modo  mirabile da Carlo Levi.
	Certamente per lui è una sorpresa scoprire questo mondo, di cui  all’inizio anche diffida, ma poi, nei quotidiani contatti con la gente -  fra cui indubbiamente critici quelli con il ceto borghese, non poco  responsabile della situazione –, riesce a cogliere le virtù  difficilmente percepibili a prima vista di questi vinti, si entusiasma,  diventa partecipe dei piccoli e grandi fatti della comunità, finisce con  il ritenere la sua condizione di confinato non tanto una condanna, ma  un incidente di percorso, di fronte all’eterna condanna di un popolo  senza patria.
	Ci sono pagine che, pur nello stile elegante e non certo enfatico,  muovono alla commozione, altre che fanno gridare di rabbia, come la  descrizione di Matera che gli fa la sorella che è venuta a trovarlo.  Abitazioni primitive in un mondo primordiale, una necropoli in cui si  consumano esistenze che portano la fatica di esserci, i “Sassi”  sono la realtà e l’emblema di una condizione, di un tempo che sembra  fermo agli albori dell’umanità, senza cambiamenti, in un’infinta  disperazione che si trascina di padre in figlio.
	Levi sa cogliere anche nelle sfumature la tragedia di un mondo immobile  e arretrato, dove tuttavia palpitano sentimenti, riescono anche a  nascere gioie fra tanto dolore, e così quei cafoni, osservati  dapprima con preconcetti borghesi, poco a poco diventano gli eroi di  un’umanità derisa, calpestata, ma pronta a tendere la mano, a dividere  il poco cibo e ad accogliere quel medico con la passione per la pittura,  giunto da lontano, da un mondo che non conoscono e neppure immaginano.
	Terminato il confino l’autore ripartirà per la sua città d’origine, con  la promessa di ritornare fra quella gente che ora sente vicina a sé con  il calore dell’affetto. Non sarà però così, ma Levi non verrà comunque  meno all’impegno. Infatti, giace fra tanti illustri sconosciuti, nel  cimitero di Aliano, quel paese la cui gente lo ha così toccato nel  cuore.
	Il romanzo, uscito nel 1945, incontrò subito un enorme successo, con  diffusione in tutto il mondo e ha avuto anche una trasposizione  cinematografica con la regia di Francesco Rosi e l’interpretazione di  Gian Maria Volonté, Alain Cuny, Lea Massari e Irene Papas.
	Cristo si è fermato a Eboli è una di quelle opere che lasciano  un segno profondo nel lettore, che toccano nell’animo e invitano a  riflettere, un romanzo che è impossibile dimenticare e che ogni tanto,  ancor oggi, mi torna alla mente in certe sue pagine di struggente  bellezza, emozioni e sensazioni che solo un capolavoro può dare.       
	 
	 
	 
	Carlo Levi (Torino,  29 novembre1902 – Roma, 4 gennaio 1975). E’ stato un grande scrittore e  un non meno grande pittore. Ha scritto, fra l’altro, Cristo si è fermato a Eboli, L’orologio, Le parole sono pietre.
	 
	 
	 
	Recensione di Renzo Montagnoli